Categoria: Guide

La persona con una gastrostomia endoscopica percutanea (PEG)

La gastrostomia endoscopica percutanea, abbreviata abitualmente con l’acronimo PEG, è una metodica di nutrizione enterale (in cui cioè gli alimenti vengono assorbiti dall’intestino) che si adotta in casi particolari, quando non è possibile nutrirsi. Rispetto ad altre tecniche è meglio tollerata. Nella gestione di una persona con una PEG è molto importante il ruolo di chi l’assiste e di familiari che oltre a conoscere le informazioni di base sul sistema devono anche tenere presenti i problemi psicologici che sono legati all’impossibilità di alimentarsi naturalmente.
Con questa Guida si vogliono fornire indicazioni e consigli sui comportamenti raccomandati e su quelli da evitare per una persona con una gastrostomia. In particolare si risponderà ai seguenti quesiti:

1. Quando è indicata la PEG?
2. Che cosa bisogna sapere su come viene messa una PEG?
3. Ci possono essere complicanze con la PEG?
4. Quali accorgimenti occorre avere quando si assiste una persona con una PEG?

Clicca per votare questo articolo!
[Voti: 1 Media: 5]

Attività fisica

Se da una parte gli studi hanno dimostrato che praticare attività fisica regolarmente ha effetti benefici sulla salute e riduce il rischio di malattie croniche, dall’altra le indagini statistiche hanno rilevato che la percentuale di persone che non pratica attività fisica è in aumento: in Europa tra il 40 e il 60% della popolazione conduce una vita sedentaria.
Con questa Guida si vuole spiegare perché è utile fare attività fisica e come riuscire a integrare il tempo per la ginnastica nella routine quotidiana. In particolare si cercherà di rispondere ai seguenti quesiti:

1. Che cosa si intende per attività fisica?
2. Perché è utile fare attività fisica?
3. Con quale frequenza occorre fare attività fisica?
4. Come si può integrare l’attività fisica nella vita quotidiana?
5. Ci sono rischi nel praticare attività fisica?

Clicca per votare questo articolo!
[Voti: 0 Media: 0]

La trombosi venosa profonda

La trombosi venosa profonda è una condizione che ogni anno nella popolazione generale colpisce una persona su mille. Spesso non si manifesta con sintomi evidenti, in alcuni casi è difficile da diagnosticare e può dare luogo a conseguenze gravi come l’embolia polmonare (ostruzione acuta che può essere completa o parziale di uno o più rami dell’arteria che porta sangue ai polmoni) o l’insufficienza venosa cronica. E’ noto che alcune condizioni, come l’immobilità o la gravidanza, aumentano il rischio è importante quindi mettere in atto tutti i mezzi di prevenzione disponibili. Con questa Guida si vogliono fornire le indicazioni sulla prevenzione della trombosi venosa profonda. In particolare si cercherà di rispondere a i seguenti quesiti:

1. Che cos’è la trombosi venosa profonda?
2. Quali sono le principali cause di trombosi venosa profonda?
3. In che cosa consiste la profilassi della trombosi venosa profonda?
4. Quali sono i metodi fisici per la prevenzione della trombosi venosa profonda?
5. Quali sono i metodi farmacologici per la prevenzione della trombosi venosa profonda?

Clicca per votare questo articolo!
[Voti: 0 Media: 0]

La gestione della stitichezza

La stitichezza è un disturbo molto frequente nei Paesi industrializzati; colpisce il 3-10% dei bambini e tende ad aumentare con l’età fino a raggiungere il 20-40% nei soggetti sopra i 65 anni di età. Inoltre circa il 40% delle donne in gravidanza soffre di stitichezza in particolare nei primi tre mesi.
La maggior parte dei casi di stitichezza non è determinato da una condizione specifica ed è difficile determinarne la causa esatta.
Per la prevenzione e il trattamento spesso è sufficiente seguire una dieta adeguata e modificare alcune abitudini di vita.
Questa guida vuole aiutare i cittadini a gestire la stitichezza riducendo così il rischio di complicanze. In particolare si cerca di rispondere ai seguenti quesiti:

1. Quando si può parlare di stitichezza?
2. Quali sono le cause della stitichezza?
3. Come va trattata la stitichezza?
4. Come si può prevenire la stitichezza?

Clicca per votare questo articolo!
[Voti: 0 Media: 0]

BPCO – Broncopneumopatia cronica ostruttiva

BPCO significa broncopneumopatia cronica ostruttiva. E’ il termine usato dai medici per indicare una malattia respiratoria cronica caratterizzata da un’ostruzione delle vie aeree che peggiora nel tempo.

La BPCO è la combinazione di due differenti alterazioni dell’apparato respiratorio comunemente note: la bronchite cronica e l’enfisema polmonare.
La bronchite cronica è un’infiammazione dei bronchi che determina un aumento di spessore della parete delle vie aeree e un accumulo di catarro. L’enfisema polmonare è determinato dalla progressiva perdita di elasticità dei polmoni che compromette la funzione respiratoria.
Nel mondo, la BPCO è in aumento e ha un grande impatto medico e sociale. I dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) la collocano al quinto posto come causa di mortalità e al 12° posto come causa di disabilità.
Il fumo di sigaretta e l’inquinamento ambientale sono i fattori di rischio più importanti.

Clicca per votare questo articolo!
[Voti: 1 Media: 5]

Delirium post operatorio

La collaborazione dei familiari della persona operata con l’équipe assistenziale è importante per individuare i primi segni del delirium e gestirlo correttamente.
Nella gran parte dei casi il delirium post operatorio, comunque, non lascia alcun segno e la persona riprende poi completamente le sue funzioni cognitive.
Con questa Guida si vuole aiutare i familiari a capire se l’anziano è a rischio e quali comportamenti devono essere segnalati al medico perché devono far sospettare uno stato confusionale. In particolare si affronteranno i seguenti quesiti:

1. Che cos’è il delirium post operatorio?
2. Chi è a rischio di delirium?
3. Come va gestito il delirium?
4. Come si può prevenire il delirium?
 

Clicca per votare questo articolo!
[Voti: 7 Media: 3.9]

Disfagia dell’anziano

La disfagia, cioè l’impossibilità o il rallentamento a deglutire autonomamente è un problema che si manifesta non raramente nell’anziano in caso di ictus, malattia di Alzheimer, morbo di Parkinson, e in altre malattie neurologiche che colpiscono invece i più giovani, come la sclerosi multipla.
Il disturbo in alcuni casi può essere una conseguenza dell’indebolimento dei muscoli della mascella e della perdita di denti o un effetto collaterale della somministrazione di alcuni farmaci. 
Chi ha difficoltà o fastidio al momento della deglutizione deve farlo presente per tempo al proprio medico. E’ importante infatti sottoporsi a una diagnosi precoce per trattare il disturbo fin dai primi sintomi: se non trattata, la disfagia può causare complicanze gravi. Questa Guida ha come obiettivo sia far conoscere la disfagia, sia fornire gli strumenti per assistere una persona che ha problemi alla deglutizione. In particolare si cercherà di rispondere ai seguenti quesiti:

Clicca per votare questo articolo!
[Voti: 2 Media: 5]

Come evitare di farsi male assistendo una persona con difficoltà motorie

Per prevenire questi disturbi è importante eseguire le manovre rispettando alcune tecniche corrette per muovere la persona assistita.
Con questa Guida si vogliono fornire le indicazioni per aiutare a prevenire i più frequenti disturbi muscolo-scheletrici. In particolare si cercherà di rispondere ai seguenti quesiti:

1. Perché la movimentazione di una persona con problemi motori aumenta il rischio di mal di schiena?
2. Come si può prevenire il mal di schiena?
3. Quali sono le principali tecniche di movimentazione?

Perché la movimentazione di una persona con problemi motori aumenta il rischio di mal di schiena?

Quando si aiuta una persona anziana o disabile a spostarsi dalla carrozzina al letto o dal letto alla carrozzina o nel bagno si mette sotto sforzo la propria schiena: da una parte ci sono le forze provocate dal peso e dalla massa della persona, dall’altra il nostro organismo bilancia queste forze mettendo in atto meccanismi automatici di “protezione”. Se durante questo sforzo l’assetto del corpo e di conseguenza la posizione della colonna vertebrale è corretto le forze si equilibrano senza causare conseguenze per la colonna vertebrale, se invece la posizione del corpo non è corretta si possono avere carichi eccessivi su alcuni punti della colonna vertebrale con conseguenze che vanno dalla compressione dei dischi intervertebrali fino a microfratture. I movimenti scorretti possono quindi causare dolore e disturbi anche gravi.

E’ VERO CHE L’AMBIENTE NON ADATTO PUÒ FAVORIRE LA COMPARSA DI DISTURBI MUSCOLO-SCHELETRICI IN CHI ASSISTE UNA PERSONA?

VERO. La postura scorretta è la prima causa di disturbi muscolo-scheletrici, ma il problema è che spesso quando si assiste un malato è difficile assumere la postura più corretta perché l’ambiente non è sempre adeguato. Se lo spazio è stretto, chi assiste è costretto ad assumere posizioni non naturali, girando il proprio corpo in modo non adeguato, per l’impossibilità di adottare una posizione ergonomica (cioè in modo che utilizzi il proprio corpo senza procurarsi danni). A questo si aggiunge il rischio di scivolare, inciampare e cadere. Quando si assiste una persona con difficoltà motorie è quindi molto importante cercare di:
– organizzare l’ambiente in modo da avere spazio per le manovre (per esempio è utile mettere la persona su un letto singolo così da potervi girare intorno);
– controllare che sul pavimento non vi siano ostacoli e che non sia scivoloso;
– verificare di avere tutto quello che serve in posizione comoda.

E’ VERO CHE È PIÙ DIFFICILE SPOSTARE UNA PERSONA CHE UN OGGETTO DI PARI PESO?

VERO. A differenza di un carico pesante la persona da spostare è instabile e inoltre ha una conformazione tale da rendere difficile il rispetto di alcuni principi del corretto spostamento: le persone da spostare non possono per esempio essere mantenute vicine al corpo di chi le sta spostando e spesso non è possibile prevedere quello che succederà durante la movimentazione.

E’ VERO CHE IL MAL DI SCHIENA È L’UNICO RISCHIO CHE CORRONO LE PERSONE CHE ASSISTONO UNA PERSONA CON DIFFICOLTÀ MOTORIE?

FALSO. Il mal di schiena con dolori a livello lombare (in basso) e cervicale (parte alta) è sicuramente il disturbo più frequente in chi assiste, ma ci possono essere altre conseguenze a livello muscolare o tendineo.

Come si può prevenire il mal di schiena?

La prevenzione del mal di schiena e più in generale degli infortuni legati alla mobilizzazione è una questione importante per tutte le persone che assistono un’altra persona e si basa prevalentemente sull’utilizzo di tecniche di movimentazione e di ausili per favorire il sollevamento o il trasferimento. In linea di massima quando si deve spostare una persona con difficoltà motorie è importante:
– cercare sempre la collaborazione da parte della persona;
– assumere una postura il più possibile corretta con gambe divaricate e leggermente flesse, così da avere una superficie di appoggio ampia;
– evitare torsioni o posture incongrue;
– posizionarsi il più vicino possibile all’assistito, prima di iniziare qualunque tipo di movimentazione;
– verificare che le vie da percorrere siano sgombre da ostacoli e che la superficie del pavimento non sia scivolosa;
– verificare che il piano di lavoro sia alla giusta altezza in modo che le spalle e le ginocchia possano rimanere rilassate;
– muoversi con il peso vicino al corpo, piegare le ginocchia e tenere la schiena e il collo rilassati e la schiena diritta;
– controllare che la sedia a rotelle sia frenata e assicurarsi che il malato da alzare indossi calzature chiuse e comode e che l’ambiente sia ben illuminato.

E’ VERO CHE QUANDO SI DEVE SOLLEVARE UN MALATO È SEMPRE MEGLIO FARLO DA SOLI?

FALSO. Prima di sollevare un malato è necessario sempre pensare prima a quale è la tecnica che comporta un minore sforzo. Se c’è la possibilità di chiedere aiuto a un familiare o a un amico per sollevare il malato è bene farlo. Inoltre è sempre raccomandato stimolare il malato a collaborare.

E’ VERO CHE PRIMA DI COMINCIARE QUALSIASI OPERAZIONE DI SPOSTAMENTO OCCORRE VERIFICARE DI ESSERE IN PERFETTO EQUILIBRIO?

VERO. Prima di sollevare la persona che si sta assistendo è bene valutare che la propria posizione sia corretta. A tal fine occorre:
– verificare di avere le gambe leggermente divaricate;
– abbassarsi piegando le ginocchia;
– stabilizzare la schiena tenendola leggermente flessa in avanti ma ben sostenuta.

E’ VERO CHE ESISTONO ANCHE ATTREZZATURE SPECIFICHE PER AIUTARE LA MOVIMENTAZIONE?

VERO. La persona che assiste deve sapere che può ricorrere anche ad attrezzature, definite ausili minori, per scaricare il peso dalla colonna vertebrale e rendere lo spostamento più agevole. Questi ausilii sono utilizzati prevalentemente con persone collaboranti cioè con una residua capacità di movimento. Comprendono principalmente teli ad alto scorrimento, tavole a rullo, dischi girevoli, cinture ergonomiche, trapezi. Quando si utilizzano questi ausili occorre comunque sempre assumere e rispettare la postura corretta.

E’ VERO CHE LA GINNASTICA PUÒ AIUTARE A PREVENIRE DISTURBI MUSCOLO-SCHELETRICI IN CHI ASSISTE?

VERO. La ginnastica può aiutare a rinforzare la muscolatura e le articolazioni per prevenire i comuni disturbi associati alla movimentazione. In particolare si consigliano esercizi di:
– allungamento (per esempio flessione del busto laterale, flessione del capo a destra e a sinistra, estensione del capo in avanti e indietro);
– mobilizzazione (dalla posizione a quadrupe si inarca la schiena inspirando e si mantiene la posizione per 10 secondi. Successivamente si estende il rachide, espirando, e si mantiene la posizione per 10 secondi);
– rotazione (in posizione supina a ginocchia flesse e piedi a terra, portare lentamente le gambe lateralmente prima a destra e poi a sinistra, mantenendo la posizione per 10 secondi).
Ogni esercizio deve essere eseguito lentamente ogni giorno e va ripetuto da 3 a 5 volte. Le posizioni vanno mantenute per 10 secondi. Se un esercizio provoca dolore è bene interrompere ed eventualmente riprovare a farlo dopo qualche giorno.

Quali sono le principali tecniche di movimentazione?

Le tecniche di movimentazione si basano sui principi di ergonomia (cioè dell’uso adeguato delle forze del corpo):
– posizionarsi il più vicino possibile al malato, se necessario inginocchiandosi sul letto per evitare di chinarsi o allungarsi sul letto durante il trasferimento. Questo evita sforzi con la schiena in tensione o torsione;
– prima di iniziare il sollevamento o il trasferimento del malato, è bene tenere le gambe leggermente divaricate con un piede leggermente in avanti per avere una base di appoggio più ampia;
– durante il sollevamento del malato bisogna usare i muscoli delle gambe e dei fianchi invece di quelli della parte superiore del corpo, piegando e poi raddrizzando lentamente le ginocchia mentre si solleva il malato;
– la posizione della colonna vertebrale deve seguire la sua curva naturale, evitando di sovraccaricarla quando ci si allunga o ci si china;
– chi assiste deve cercare di spostare il suo peso seguendo la direzione del movimento che sta facendo;
– particolare attenzione va dedicata a come si afferra il malato: mai solo con le dita. Si deve usare sempre tutta la mano, identificando le aree che consentono una presa salda, per esempio a livello del bacino, della vita, delle scapole e mai per le braccia o per le gambe. Per migliorare la presa a volte sono utili ausili specifici come le cinture con maniglie;
– si deve cercare il più possibile di mantenere una postura corretta: se il posto non consente la movimentazione manuale di carichi a un’altezza di sicurezza o in buona posizione, si deve cercare di regolare l’altezza del letto e di usare ausili che riducano lo sforzo di chi assiste.

E’ VERO CHE ANCHE MOVIMENTI SEMPLICI DEL MALATO COME SCIVOLARE VERSO LA TESTIERA DEL LETTO DEVONO ESSERE CONDOTTI RISPETTANDO UNA TECNICA PRECISA?

VERO. Tutti gli spostamenti anche quelli più semplici devono essere eseguiti scomponendo il movimento in diverse fasi così da essere certi di procedere secondo la tecnica corretta. Se la persona da spostare è collaborante cioè riesce a muoversi almeno parzialmente (per esempio non muove le gambe ma muove le braccia) è possibile eseguire gli spostamenti anche da soli, se la persona non è collaborante (perché non può muovere nessun arto o perché non è cosciente) è necessaria la presenza di due persone. Se possibile, è importante spiegare alla persona che tipo di manovra stiamo per fare. Si riportano di seguito le tecniche per gli spostamenti più frequenti.

Scivolare verso la testiera:
– flettere le gambe della persona appoggiando i piedi sul letto;
– sistemare le braccia lungo i fianchi;
– sollevare il bacino;
– scivolare verso la testiera con l’aiuto delle braccia ed eventualmente la spinta delle gambe.

Spostarsi lateralmente verso il bordo del letto:
– flettere le gambe appoggiando i piedi sul letto;
– sistemare le braccia lungo i fianchi;
– sollevare il bacino e spostarlo di lato;
– spostare di lato il tronco. 

Girarsi sul fianco:
– flettere la gamba del lato opposto a quello verso il quale devo ruotare;
– ruotare il capo verso la direzione di rotazione;
– ruotare sul fianco portando il braccio verso il senso di rotazione.

Sedersi sul bordo del letto:
una volta posizionato sul fianco destro (o sinistro);
– appoggiare la mano sinistra sul letto (davanti al torace);
– far scivolare giù le gambe;
– spingere con la mano sinistra e il braccio destro per mettersi seduto.

Clicca per votare questo articolo!
[Voti: 1 Media: 5]

La frattura dell’anca

La frattura dell’anca si verifica soprattutto nelle persone anziane e in genere riguarda la parte del femore nota come collo femorale. Sovente sono conseguenza di una caduta a terra.
Gli esiti delle cure sono variabili. Molti soggetti guariscono con una ripresa rapida e ottimale delle proprie funzionalità. Per altri, invece, la frattura significa la perdita della mobilità e, talvolta, dell’autonomia e dell’impossibilità a vivere a casa propria. Nel complesso, la mortalità un anno dopo la frattura è elevata, intorno al 30%, anche se solo un terzo è direttamente attribuibile alla frattura.
Vista l’incidenza, è importante sapere come prevenire le fratture e, in caso di incidente, come comportarsi per aiutare il soggetto fratturato.

1. Come si possono prevenire le fratture dell’anca nell’anziano?
2. Come si riconosce una frattura dell’anca?
3. Come bisogna comportarsi in caso di incidente e sospetto di frattura del femore?
4. In caso di frattura del femore è sempre necessario intervenire chirurgicamente?
5. In che cosa consiste la riabilitazione?

Clicca per votare questo articolo!
[Voti: 0 Media: 0]

Quando serve la contenzione

A partire dagli anni ’80 l’uso della contenzione del paziente è stato messo in discussione sia in termini di efficacia (riduce davvero il rischio di lesioni a sé e agli altri?) sia sul piano etico. Ancora oggi è acceso il dibattito per definire quando e se è opportuno ricorrere ai mezzi di contenzione e a quali.
Se è vero che la contenzione in alcune circostanze è necessaria per la sicurezza del soggetto e di chi lo assiste è altrettanto vero che va utilizzata con coscienza e solo in caso di effettiva necessità. Occorre infatti tenere presente che l’uso inappropriato o prolungato dei mezzi di contenzione può avere ripercussioni sia sul piano psicologico (del soggetto sottoposto a contenzione e dei familiari) sia sul piano fisico. L’uso dei mezzi di contenzione deve quindi essere valutato con attenzione e deve essere limitato nel tempo.
Questo contributo vuole aiutare i cittadini a comprendere quali sono i casi in cui la contenzione è necessaria e quali sono le strategie alternative da mettere in atto per limitarne l’uso. In particolare si vuole rispondere ai seguenti quesiti:

1. Che cos’è la contenzione?
2. Perché si usa la contenzione?
3. Quali tipi di contenzione esistono?
4. Quali sono i mezzi di contenzione fisica?
5. Quali sono le conseguenze della contenzione fisica?
6. Come bisogna operare per limitare l’uso della contenzione fisica?

Che cos’è la contenzione?

La contenzione può essere definita come un atto sanitario-assistenziale che utilizza mezzi chimici-fisici-ambientali applicati direttamente all’individuo o al suo spazio circostante per limitarne i movimenti.
Si possono distinguere quattro tipi di contenzione:

  1. contenzione fisica, che si ottiene con presidi applicati sulla persona, o usati come barriera nell’ambiente, che riducono o controllano i movimenti;
  2. contenzione chimica, che si ottiene con farmaci che modificano il comportamento, come tranquillanti e sedativi;
  3. contenzione ambientale, che comprende i cambiamenti apportati all’ambiente in cui vive un soggetto per limitare o controllarne i movimenti;
  4. contenzione psicologica o relazionale o emotiva, con la quale ascolto e osservazione empatica riducono l’aggressività del soggetto perché si sente rassicurato.

In questo contributo ci concentreremo sulla contenzione fisica e meccanica.

Si definiscono mezzi di contenzione fisici e meccanici i dispositivi applicati al corpo o allo spazio circostante la persona per limitare la libertà dei movimenti volontari. I mezzi di contenzione fisica si classificano in:

  • mezzi di contenzione per il letto (per esempio le spondine, vedi disegno);
  • mezzi di contenzione per la sedia (per esempio il corpetto);
  • mezzi di contenzione per segmenti corporei (per esempio polsiere o cavigliere);
  • mezzi di contenzione per una postura obbligata (per esempio cuscini anatomici).

E’ VERO CHE LA CONTENZIONE, IN QUANTO ATTO SANITARIO-ASSISTENZIALE, DEVE ESSERE PRESCRITTA DAL MEDICO?

VERO. La contenzione deve essere prescritta dal medico ma la sua validità deve essere valutata in équipe. In situazioni di emergenza e in assenza del medico l’infermiere può decidere di ricorrere a mezzi di contenzione, tale decisione deve però essere valutata dal medico nel più breve tempo possibile. Inoltre prima di procedere con la contenzione è necessario richiedere il consenso informato del paziente o dei familiari. Nella prescrizione il medico deve indicare quale mezzo di contenzione usare e la durata della contenzione.

E’ VERO CHE LA CONTENZIONE È UN PROVVEDIMENTO DI URGENZA?

VERO. I mezzi di contenzione vanno usati solo se strettamente necessari per prevenire rischi gravi per il soggetto in cura e/o per chi lo assiste. L’uso dei mezzi di contenzione va interrotto non appena decadono le condizioni che ne hanno determinato la necessità di utilizzo. Quando si ricorre a mezzi di contenzione bisogna sempre garantire il comfort e la sicurezza del soggetto.

E’ VERO CHE LE SPONDINE DEL LETTO SONO CONSIDERATE MEZZO DI CONTENZIONE?

VERO/FALSO Secondo una revisione sistematica del 2007 le spondine applicate o corredate al letto, sono strumenti di sicurezza utilizzati per ridurre il rischio di scivolare, rotolare o cadere accidentalmente dal letto. Non sono una forma di contenzione se usate per proteggere il soggetto dalla caduta accidentale dal letto, o se usate per i pazienti immobilizzati. Se invece sono usate per contrastare la volontà di un paziente di alzarsi dal letto sono da considerare una forma di contenzione. Tuttavia le spondine in genere non circondano completamente il letto cosicchè non potrebbero impedire di trattenere il paziente a letto contro la sua volontà.

Perché si usa la contenzione?

Premesso che la contenzione non deve essere una metodo abituale di accudimento ma va considerata come un evento straordinario, da motivare, la ragione principale che spinge a utilizzare sistemi di contenzione è la sicurezza del paziente o di chi gli è vicino (operatori sanitari, familiari o compagni di stanza). La contenzione deve essere utilizzata come ultima soluzione, quando mezzi alternativi meno restrittivi si siano dimostrati inefficaci o insufficienti allo scopo e solo nell’esclusivo interesse dell’incolumità del soggetto e delle persone che gli sono vicine.
Tra i motivi che portano gli operatori sanitari a utilizzare mezzi di contenzione ci sono: la prevenzione delle cadute, il trattamento dell’agitazione e dell’aggressività del soggetto, il controllo del comportamento e la prevenzione del vagare, specie negli anziani. Inoltre in alcuni casi può essere necessario ricorrere alla contenzione per somministrare la terapia o per evitare che il soggetto si stacchi il catetere o altri dispositivi indispensabili per l’assistenza o la terapia.

E’ VERO CHE L’USO DELLA CONTENZIONE RIDUCE IL RISCHIO DI CADUTE?

FALSO. Non ci sono studi che abbiano dimostrato una riduzione del rischio di cadute nei soggetti sottoposti a contenzione (per esempio con le spondine del letto) né un aumento del rischio di cadute nei soggetti non sottoposti a contenzione. Sembra quindi che gli anziani cadano dal letto indipendentemente dall’uso di contenzione, per cause associate ai processi di invecchiamento e alla presenza di fattori di rischio. Inoltre l’uso della contenzione può aumentare la gravità degli effetti associati alla caduta in quanto la contenzione tende ad aggravare l’osteoporosi e riduce la massa e il tono muscolare (vedi quesito Quali sono le conseguenze della contenzione fisica?).

E’ VERO CHE L’USO INAPPROPRIATO DELLA CONTENZIONE PUÒ ESSERE PUNITO?

VERO. L’abuso dei mezzi di contenzione è punibile in base all’articolo 571 del Codice Penale (“Chiunque abusa di mezzi di contenzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragione di educazione, cura o vigilanza, ovvero per l’esercizio di una professione, è punibile se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente…”) e all’articolo 610 del Codice Penale (“L’uso non giustificato dei mezzi di contenzione potrebbe anche tradursi in accusa di aggressione e violenza”). Altrettanto punibile è la mancata segnalazione, da parte degli operatori sanitari, all’autorità competente di maltrattamenti o privazioni a carico dell’assistito (articolo 33 codice deontologico dell’infermiere).

E’ VERO CHE L’USO DEI MEZZI DI CONTENZIONE DOVREBBE ESSERE ABOLITO?

FALSO. Alcuni studi hanno dimostrato che in alcuni casi l’uso della contenzione è efficace. In particolare si è visto che è opportuno ricorrere alla contenzione qualora vi sia un rischio di suicidio, se il soggetto è aggressivo verso gli altri e/o se il soggetto tende a strappare via i presidi per i trattamenti salvavita. Tuttavia l’uso della contenzione deve essere limitato solo ai casi di effettiva necessità: in particolare la contenzione deve essere evitata nei soggetti in cui si può facilmente optare per soluzioni alternative.

E’ VERO CHE LA CONTENZIONE PUÒ CAUSARE LA MORTE DEL SOGGETTO?

VERO. Alcuni studi hanno riportato come causa di morte la contenzione perché il soggetto può rimanere incastrato tra il letto e il mezzo di contenzione e venire quindi soffocato. Anche le spondine del letto possono aumentare il rischio di morte. Per tale motivo è importante tenere sotto stretto controllo i soggetti sottoposti a contenzione.

Quali sono le conseguenze della contenzione fisica?

Le conseguenze dell’uso della contenzione fisica sono riconducibili a due gruppi:

  • danni diretti, causati dalla pressione esercitata dal mezzo di contenzione;
  • danni indiretti, comprendono tutte le possibili conseguenze dell’immobilità forzata (lesioni da pressione, aumento della mortalità, cadute, prolungamento dell’ospedalizzazione).

Non è chiaro se vi sia una maggiore prevalenza di danni diretti o indiretti, alcuni studi hanno però dimostrato che la contenzione può essere causa diretta di morte e sembra esservi una relazione diretta tra durata della contenzione e comparsa di danni indiretti. I soggetti sottoposti a contenzione per più di quattro giorni hanno un’alta incidenza di infezioni ospedaliere e di lesioni da decubito.

I danni potenziali associati all’uso scorretto e prolungato dei mezzi di contenzione si dividono in tre categorie:

  • danni meccanici (strangolamento, asfissia da compressione della gabbia toracica, lesioni);
  • malattie funzionali e organiche (incontinenza, infezioni, riduzione del tono e della massa muscolare, peggioramento dell’osteoporosi);
  • danni psicosociali (stress, depressione, paura, sconforto, umiliazione).

E’ VERO CHE LA CONTENZIONE QUALORA NECESSARIA PUÒ ESSERE IMPOSTA ANCHE A LUNGO TERMINE?

FALSO. La contenzione deve essere imposta per periodi limitati, non più di 12 ore consecutive. Ogni 3-4 ore bisogna valutare la sicurezza del mezzo di contenzione utilizzato e l’assenza di conseguenze. Quando si utilizzano mezzi di contenzione bisogna garantire ai soggetti la possibilità di movimento per almeno 10 minuti ogni 2 ore.

Come bisogna operare per limitare l’uso della contenzione fisica?

Per ridurre l’uso dei mezzi di contenzione fisica occorre:

  • informare familiari e operatori sanitari sui rischi e i problemi associati all’uso dei mezzi di contenzione;
  • valutare con cura ogni singolo caso e personalizzare il più possibile gli interventi assistenziali.

In particolare a seconda delle caratteristiche dei soggetti bisognerebbe procedere con interventi alternativi specifici per esempio:

  • soggetti a rischio di caduta: gli studi hanno dimostrato che per prevenire le cadute occorre avere un approccio multidisciplinare. Si consiglia quindi di illuminare bene la stanza, predisporre un pavimento non scivoloso, utilizzare scarpe con suola antiscivolo, preferire un materasso concavo e sistemare alcune coperte arrotolate ai bordi del letto;
     
  • soggetti che vagano: occorre evitare l’allettamento forzato tutelando però la sicurezza del soggetto, a tal fine bisognerebbe organizzare l’ambiente in modo tale che questi soggetti abbiano uno spazio sicuro dove poter vagare liberamente. Occorre inoltre bloccare l’accesso a luoghi non sicuri, impedire che lascino la struttura, disporre percorsi privi di ostacoli. I familiari possono aiutare gli operatori sanitari controllando a turno il soggetto e proponendogli attività distraenti (per esempio ascolto della musica);
     
  • soggetti in terapia farmacologica: si è visto che i farmaci, soprattutto se psicofarmaci, possono causare come effetto avverso episodi di disorientamento, agitazione e confusione, eventi che possono indurre a utilizzare mezzi di contenzione: è bene quindi tenere sotto controllo questi soggetti segnalando al medico comportamenti anomali.

Il ruolo dei familiari è importante in quanto chi assiste e conosce il soggetto in cura può collaborare con gli operatori sanitari proponendo intrattenimenti come l’ascolto della musica, passeggiate per distrarre il soggetto da comportamenti a rischio.

E’ VERO CHE UNA MAGGIORE CONSAPEVOLEZZA DEGLI OPERATORI SANITARI SUI RISCHI DELLA CONTENZIONE PUÒ LIMITARNE L’USO?

VERO. Gli studi hanno dimostrato che una maggiore formazione del personale sanitario associato alla possibilità di richiedere consulenze specifiche in materia può ridurre l’uso della contenzione fisica senza aumentare il numero di cadute o di lesioni gravi nei soggetti ricoverati in strutture residenziali.

E’ VERO CHE I FAMILIARI POSSONO AIUTARE GLI OPERATORI SANITARI A LIMITARE L’USO DELLA CONTENZIONE?

VERO. I familiari possono aiutare controllando i soggetti, inoltre possono aiutare i soggetti ansiosi e/o agitati a rilassarsi e a distrarsi proponendo attività diversive e distensive come la visione di un film, una passeggiata o l’ascolto di musica. Non sempre, tuttavia, l’atteggiamento collaborativo dei familiari è sufficiente a tranquillizzare il soggetto. Qualora l’agitazione dovesse essere eccessiva e dovessero manifestarsi atteggiamenti aggressivi, occorre segnalare tali comportamenti al medico che valuterà l’opportunità di utilizzare mezzi di contenzione.

E’ VERO CHE LA DISPONIBILITÀ ALL’ASCOLTO DA PARTE DEGLI OPERATORI SANITARI O DEI FAMILIARI PUÒ RIDURRE L’USO DELLA CONTENZIONE?

VERO. I soggetti con disturbo d’ansia trovano grande beneficio da un atteggiamento positivo e di apertura da parte degli operatori sanitari e/o dei familiari. L’ascolto, il conforto, il contatto fisico e il tenere compagnia sono tutti interventi che possono evitare o allontanare l’uso della contenzione.

Clicca per votare questo articolo!
[Voti: 0 Media: 0]